L’altra sera casualmente mi è capitato di vedere quel bel programma che è “Porta a porta” (è ironico ovviamente!!)..stranamente non parlavano di politica, omicidi o altro ma di un tema molto interessante…il panico. Sono riuscita ad ascoltare un po, ma a un certo punto il sonno ha preso il sopravvento vista l’ora tarda.
Ho pensato così di scrivere un intervento su questo, in particolare per aiutare un po’ i poco esperti a capire meglio alcune distinzioni di termini…in particolare tra ansia, panico, fobia e altri correlati…
Prima di tutto distinguiamo tra paura e ansia.
La paura è un’emozione che ha come obiettivo al sopravvivenza dell’individuo. Si scatena ogni volta si presenti un possibile rischio per la propria incolumità ed è indispensabile per l’uomo per poter reagire alla situazione pericolosa. Può generare diverse reazioni, differenti tra loro, ma tutte rivolte alla ricerca di una soluzione per superare la difficoltà. Si tratta quindi di una emozione con una elevata funzione di adattamento, necessaria per sopravvivere. La paura è sempre scatenata, quindi, una situazione, dalla percezione di un reale pericolo.
Se, invece, le sensazioni di timore e preoccupazione tipiche della paura sono presenti senza che vi sia un pericolo reale si può parlare di ansia. Essa, infatti, non è causata da un fattore esterno, ma da una spinta interna e per questo motivo è spesso più intensa e difficilmente controllabile. A differenza della paura l’ansia non aiuta l’uomo a difendersi dai pericoli esterni, ma blocca e ostacola le attività e la vita quotidiana. Si può dire che nel caso dell’ansia viene meno la funzione primaria dell’emozione, legata alla naturale conservazione della specie.
Il vivere situazioni di ansia però non è indice della presenza di un disturbo. Si può dire che si tratti di un’esperienza comune quasi a tutti che, solo nel momento in cui diventa eccessiva, può trasformarsi in una vera patologia. Si può parlare di vera malattia solo nel momento in cui la sua presenza compromette l’attività lavorativa e sociale o provoca un disagio prolungato ed intenso. Si parla in questo caso di disturbo d’ansia generalizzato. Con questo termine si intende un disturbo la cui caratteristica principale è la presenza di uno stato di ansia e preoccupazioni eccessive relative a situazioni o eventi della vita (tra cui le prestazioni in campo lavorativo e scolastico), che si presenta quasi ogni giorno per almeno 6 mesi. Questa definizione è fornita dalla DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders)che inserisce il disturbo d’ansia generalizzato trai più generali disturbi d’ansia che comprendono anche le fobie, il disturbo da attacchi di panico, il disturbo ossessivo-compulsivo..
Proprio la DSM IV ci dice, infatti, come siano diversi tra loro i disturbi legati all’ansia e quelli legati, invece, al panico. Mentre l’ansia in modo semplicistico può essere definita come una paura senza una causa reale, il panico è la forma più grave di paura. Essa, infatti, ha differenti gradi di intensità, tra i quali il più elevato è proprio il panico. La persona che sperimenta il panico ha la sensazione di essere a rischio di vita imminente. Proprio per il fatto che si tratta di un’emozione estrema, spesso circoscritta in un breve periodo di tempo, si tende a parlare di attacco di panico.
Per attacco di panico si intende un periodo preciso di intensi paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti: palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia;sudorazione; tremori fini o a grandi scosse; dispnea o sensazione di soffocamento; sensazione di asfissia; dolore o fastidio al petto; nausea o disturbi addominali; sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento; derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi); paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire; parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio); brividi o vampate di calore. (DSM IV). L’attacco ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice ed è spesso accompagnato da un senso di pericolo o di catastrofe imminente. La sensazione è quella di trovarsi in reale pericolo di vita e di perdere il controllo.
La presenza di frequenti attacchi di panico, imprevedibili, inaspettati e non provocati né da una malattia medica né da una sostanza, può portare anche alla diagnosi di disturbo da attacchi di panico.
Altra distinzione va compiuta tra la paura e la fobia. Non tutte le paure sono fobie. Diventano tali solo nel momento in cui questa preoccupazione, rivolta verso particolari oggetti o situazioni che, comunemente, non dovrebbero procurarla, persiste anche di fronte ai dati di realtà. Elemento fondamentale per parlare di fobia è la sua irrazionalità, riconosciuta anche dai soggetti stessi che ne sono vittima. Inoltre, per parlare di fobia, l’ansia causata dalle diverse situazioni deve limitare le attività della vita quotidiana in modo clinicamente significativo. (Per fare un esempio, avrà una fobia un pilota di aerei che sviluppa la paura di volare. Questa preoccupazione lo limiterà nel suo lavoro e nella sua attività). Quando la persona viene esposta allo stimolo che causa la paura manifesta un’immediata reazione ansiosa che può anche sfociare in un attacco di panico.
Ma come trattare tutti questi disturbi, inseriti nella macrocategoria dei disturbi d’ansia?
La risposta che solitamente viene data a questo quesito è sempre solo una: i farmaci. Essi infatti (come le benzodiazepine a basso potenziale e il propranololo) sono utili in quanto combattono nell’immediato la crisi e permettono di superare velocemente la situazione che ci si trova a dover affrontare. Il problema è che non vanno ad indagare la causa vera del disturbo. Come dire, i farmaci curano il sintomo, ma non il disturbo (Piccola parentesi personale per evidenziare come la cura del sintomo, pur essendo utile nell’immediato, non porta mai alla risoluzione totale del problema. Senza trovare la causa del disturbo esso non verrà mai eliminato completamente, ma si placheranno solo le crisi che si potrebbero ripresentare poi nel futuro.)
È importante, quindi, quando si incontra un paziente che presenta un disturbo d’ansia è valutare le origini del suo disturbo e associare alla somministrazione di farmaci un’analisi più terapeutica. Come per la cura di ogni patologia psicologica esistono diversi tipi di terapia, da quella ad orientamento psicoanalitico (che consente di esplorare le aree conflittuali, inconsce e legate specialmente a eventi infantili, alla base dello sviluppo del disturbo) fino a quelle comportamentali (che utilizzano tecniche di rilassamento e sembrano avere una certa efficacia sui sintomi fobici).
Durante “Porta a porta” il dibattito si è focalizzato quasi esclusivamente sul tipo di terapia migliore per la risoluzione del problema. Centro di interesse erano ovviamente i farmaci: lo scontro tra un neuropsicologo e uno psichiatra ha fatto emergere come le posizioni fossero quasi opposte.
Non sta a me giudicare in quanto non posso ritenermi ancora così esperta da dare un giudizio (fatemi studiare ancora almeno 3 anni!!), ma mi sento in dovere di esprimere la mia opinione. Se i farmaci facessero veramente tutto il nostro lavoro sarebbe inutile. Somministrare sostanze chimiche per placare delle crisi che diventano intollerabili è anche giusto, ma riempire un paziente di farmaci solo perché si crede che questo basti a risolvere il problema non penso sia opportuno! Aiutarlo ad indagare i “punti ciechi” della sua vita, identificare quelle dinamiche relazionali che possono causare difficoltà in lui è il compito che ogni psicologo e psichiatra si deve sentire in dovere di fare! Senza delegare il proprio lavoro ad un antiansiolitico in più…